Never-ending treasures of poetry

W. Edwin Rosasco
«La mattina del 29 ottobre 1989 ci riservò un’'esperienza musicale entusiasmante e inquietante insieme. Da tempo - ovviamente - si sapeva dello straordinario talento di Andrea Bacchetti, pianista genovese allora neppure dodicenne che aveva fatto incetta di affermazioni in competizioni giovanili, nazionali e internazionali e che - soprattutto - aveva ‘sorpreso’ Herbert von Karajan e stava calamitando l'interesse di Luciano Berio.
Ebbene: un ragazzino tanto minuscolo da giungere a fatica ai pedali, quasi sovrastato dai suoi grandi occhiali e proteso verso la tastiera quasi con avidità, dispensò limpidezza di pensiero musicale, di cure espressive e di risorse realizzative con una spontaneità più incredibile che eccezionale.
Ci si senti rasserenare quando, al termine del concerto, proprio da lui si apprese che aveva fretta di tornare a casa perché, nel pomeriggio, doveva partecipare a una partita di calcio.
Come un dodicenne qualsiasi
».

Così Claudio Tempo, introducendo una sua intervista ad Andrea Bacchetti su un recente numero della rivista Amadeus, ha efficacemente rievocato quel concerto di quindici anni or sono, che per molti fu motivo di meravigliato stupore di fronte al primo manifestarsi delle doti musicali del giovanissimo pianista e che segnò l'’avvio della sua carriera concertistica. Una carriera che in questi anni ha portato l'ormai ventisettenne Bacchetti a suonare, oltre che per molte fra le principali società concertistiche italiane, anche in numerosi paesi europei, in Sudamerica, in Giappone; da solo, in formazioni cameristiche o come solista con orchestra, in un affastellarsi di esperienze che l'enfant prodige di una volta ha continuato a inanellare per solidificare le smaglianti premesse giovanili in una maturità che le confermasse compiutamente.

Percorso sempre lungo e sempre incertissimo per chiunque, quello che porta ad un'autentica maturazione artistica; ancor più, per colui al quale è stato dato il dono - ma anche il fardello - di una precocità speciale, che forse sente di non dover "smentire". Ma, sostanzialmente, un percorso univoco nella pur estrema varietà dei casi possibili, fatto di un continuo sommarsi di studi, di esperienze, ma, soprattutto, di consapevolezze, che si amalgamano in una personale unicità. E a cui si giunge sotto la sferza di una curiosità pronta a rompere le consuetudini con frequentazioni non ancora consolidate da tradizioni antiche o recenti, ma sentite come passaggi indispensabili di una personale evoluzione verso consapevolezze ulteriori: come è stato, per Bacchetti, lo studio dell'opera pianistica di Luciano Berio, per il cui studio ha potuto avvalersi dei preziosissimi consigli dello stesso compositore.

Proprio la presente registrazione può gettare una luce su quanto Bacchetti sia giunto ad essere ben consapevole di alcune procedure fondamentali del far musica e dello sviluppo della personalità musicale. Innanzitutto, si tratta di registrazioni dal vivo, come già in altri suoi precedenti cd, quasi a testimonianza di una maggiore autenticità dell'’esecuzione in concerto rispetto alla latente freddezza di una registrazione in studio; meno episodica, senz’altro, ma meno ricca di quella particolare aura espressiva che solo il concerto, con la comunicazione diretta del pensiero e dell'emozione musicale a un pubblico reale e non solo virtuale, può dare. Quindi, la consapevolezza del far musica come necessità comunicativa e non come mero solipsismo esecutivo, per quanto accurato e meditato.

Un'’altra, e forse ancor più preziosa, consapevolezza traspare dalla scelta di Bacchetti di dedicare monograficamente a Johann Sebastian Bach questo cd "celebrativo" dei suoi primi quindici anni di vita concertistica. A ventisette anni, un pianista può ben essere tentato dalle sirene del virtuosismo e della dimostrazione di "bravura" e, quando è stato il caso, nella sua ormai avviatissima carriera, Bacchetti non si è tirato indietro. Ma qui la scelta va in direzione opposta, quasi volutamente antivirtuosistica, perché le esigenze da mettere in campo sono altre. Tornare a Bach - in questo caso ad alcune delle Suites inglesi e delle Suites francesi, tesori inesauribili di poesia - significa un ritorno alle scaturigini di una gran parte della creatività musicale degli ultimi tre secoli e, quindi, alle radici, al centro del proprio essere musicista, interprete, persona. E ancora, proprio per questo, un voler dimostrare che, a neanche trent’anni, non ci si deve sentire artisticamente "arrivati" (ma del resto, neanche a quaranta o a sessanta!) e che una natura artisticamente autentica non teme, anzi ha bisogno, di riconsiderare incessantemente la conoscenza dei fondamenti della propria ricerca.

E poiché ogni ricerca parte comunque dalla concretezza della propria storia personale, Bacchetti non rinuncia, nell'affrontare Bach, al suo background pianistico, da cui naturalmente muove per ricreare queste composizioni per clavicembalo, riallacciandosi senza mascheramenti al filone pianistico dell'interpretazione bachiana, che tanto ha dato - con buona pace dei più severi filologi - alla storia ell'interpretazione musicale e che può certamente aprirsi ancora a nuove avventure interpretative. Cosi, all'ascolto di queste curatissime esecuzioni, si scopre come Bacchetti si accosti a Bach, innanzitutto, con rispetto estremo; ma si direbbe, anche, con gentilezza, come di chi si ponga a scandagliare, di queste composizioni, soprattutto un versante che sembra, poeticamente, riguardarlo di persona: una lettura realmente "cameristica" nel senso di esperienza assolutamente intima, di personale ricerca interiore che, nel riversare in cd, Bacchetti ha scelto di condividere con il suo pubblico.