The inside song

Silvana Zanovello
I guanti sempre in tasca, o in camerino, prima di ogni concerto: servono a scaldare il cuore.
Le mani non ne hanno bisogno, sono già in movimento da ore. Andrea Bacchetti studia dieci, dodici, anche quindici ore ogni giorno. E non riesce a staccare la spina sulla soglia di un debutto.
È ormai sull’'altra sponda di un guado che avrebbe potuto inghiottirlo.
Il bambino prodigio è diventato un grande artista conservando negli occhi la consapevolezza disarmante di allora, senza mai staccare il tempo della musica dal respiro della vita.
«Le note continuano a darmi in testa anche nell'intervallo. Ma non riesco a preparare i bis. Le emozioni, proprio come il successo, non si danno mai per scontate»
Da Mosca a Madrid, da Berlino a Praga, il suono degli applausi si colora di ricordi: la curiosità dei compagni d’'asilo a Uscio, quando la maestra scopre il suo orecchio assoluto; il padre che gli spiega come si divide una battuta in quattro affettandogli una mela in quattro spicchi; le risposte schive ai compagni di liceo che gli chiedono delle sue tournée.
«Preferivo discutere di calcio. Parlavo poco di musica. Ascoltavo anche quella pop, qualche volta, senza invidiare e senza deridere certi deliri per due accordi e tre giri di do. Avevo già scelto il mio mondo».
Avrebbe invidiato, più tardi, Luciano Berio: «Dopo anni di studio matto, disperatissimo e confortato con molto orgoglio proprio dal versi di Leopardi, sono rimasto senza parole di fronte a quest’uomo capace di fare mille cose, di vivere intensamente cento vite fatte di musica, di politica, d’'amore».
Questo destino a tutto tondo plasma il ricordo di molti geni. Ma oggi, per i giovani, è difficile toccarne i contorni. Devono confrontare quei miti con la realtà di un mercato cangiante, dove il valore si scontra con i giochi di potere internazionale, dove il peso dei concorsi è cambiato, dove molte partite decisive si giocano in sala d’'incisione.
Andrea Bacchetti studia al Conservatorio di Genova e all’'Accademia di Imola. Ha dodici anni quando incontra Berio la prima volta, nella sua casa di Radicondoli: «Il mio turno arrivò dopo quello dei suoi due interpreti prediletti. Io avevo in programma Prokofiev, Scarlatti e alcune sue arie. Fino a quel momento lo conoscevo soltanto di nome. Ero sicuro di non aver capito, pensavo che avrei suonato malissimo».
Sarebbe diventato il suo pianista.
Due anni prima, a Salisburgo, aveva incontrato von Karajan. «Mi aveva invitato nella sua villa, non lontana dalla pensioncina dove avevo preso alloggio con i miei genitori. Stava in fondo a un salone che mi sembrava sconfinato. Avevo appena visto Guerre Stellari; Skywalker di fronte allo Jedi, doveva sentirsi come me»
Stellare è il Mozart che suona per venti minuti. L’emozione e tanto forte da spingerlo ad accampagnare le note con il canto. «Non cantare con la voce, canta dentro». È’ l'’unico consiglio del maestro. I complimenti possono aspettare: von Karajan pensa già di scrivergli e lo fa, prima di morire. La lettera, da allora, è rimasta tra gli spartiti, nella stanza-bunker dove Andrea Bacchetti si allena, vicino al pianoforte. «È uno Yamaha, lo stesso che suonavo quando avevo otto anni. Nel frattempo ha cambiato centinaia di corde, ma resiste»
Proprio come i guanti.