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Intervista con Andrea Bacchetti


Non chiamatemi
enfant prodige



Diventato famoso in Tv con Chiambretti, tanto che adesso lo riconoscono anche al ristorante e per strada, il pianista genovese oggi preferisce ricordare i suoi maestri, miti come Magaloff, Luciano Berio e Karajan, che ha incontrato a 11 anni al Mozarteum, per una borsa di studio. La difficoltà di lavorare in Italia, perché i nostri agenti e impresari sono troppo esterofili: «Alla fine i concerti me li trovo da solo, e qualche volta ti viene voglia di lasciar perdere questo mestiere...»

Testo di FILIPPO MICHELANGELI foto di FOTORAF

Ci voleva Chiambretti, il popolare conduttore televisivo, a far scoprire Andrea Bacchetti agli italiani. Il pianista genovese, 35 anni, sulla breccia da 25 perché a soli 11 anni si esibiva con I Solisti Veneti, è un "unicum" nel tranquillo e apollineo mondo pianistico italiano. È arrabbiato con il suo Paese e non ha peli sulla lingua quando parla della sua professione. "Bacchetta" i professori di conservatorio, «troppa tecnica e poca musica»; ma anche gli agenti dello spettacolo «alla fine devi trovarti i concerti da solo»; critica le società di concerti «esterofìle al 90 per cento, strapagano gli artisti stranieri». Del suo passato di enfant prodige ricorda la sofferenza di crescere con troppe aspettative da parte degli altri: «A 16 anni ti voltano tutti le spalle e ti dicono che non sai più suonare».
Nonostante la giovane età, ha conosciuto e ricevuto consigli da mostri sacri come Karajan, Magaloff e Berio che gli hanno insegnato «a cantare dentro». L'ammirazione per l'Accademia di Imola fondata da Franco Scala: «L'interdisciplinarità dei docenti mi ha salvato, mi ha dato una larghezza di vedute che il conservatorio mi aveva sempre negato».

Tanti anni di studi, diplomi, concorsi, debutti in grandi teatri, oggi gli italiani la conoscono come il pianista del "Chiambretti Night ". Come è nata la sua partecipazione alla popolare trasmissione su Canale5?
Sono capitato lì per caso, accompagnavo un'altra persona ... E alla fine hanno preso me! Chiambretti è rimasto impressionato, non dal pianista, ma dal "personaggio". Sono stato schietto, come lo sarò in quest'intervista, anche di più. Stavo al pianoforte e Chiambretti mi ha chiesto di suonargli qualcosa ... Per me è stato un grande divertimento, ho visto tanti personaggi famosi.

Avrà un seguito questa esperienza?
Sì, l'11 novembre sarò al "Chiambretti Music Show" e ci sarà anche Laura Pausini.

Non l'ha imbarazzata finire sul piccolo schermo, per di più in una televisione commerciale? Gli intellettuali raccomandano di tenersene alla larga ...
Ho avuto riscontri di diverso tipo, però alla fine sono stati più i pareri positivi da parte dei cosiddetti "intellettuali", organizzatori di concerti, critici o musicologi, che non il contrario.

Ma quest'esperienza ha giovato alla sua carriera?
In termini di popolarità, sì, perché adesso mi riconoscono quando entro in un ristorante o in un albergo.

Ma Chiambretti ci capisce qualcosa di musica?
Io penso che sia una persona molto capace nel suo lavoro che, come lui ha ripetuto molte volte, è quello di "giornalista-indagatore": lui seleziona personalmente gli ospiti, di solito gente affermata e famosa, e durante la settimana studia il personaggio a fondo. Poi conduce l'intervista senza copione, va molto a braccio. Infatti anche le cose fatte con me non sono mai state preparate, ma improvvisate sul momento.

Comunque il suo show funziona...
Credo che abbia trovato la chiave giusta. Basta dare un'occhiata agli ascolti: il "Chiambretti Night" fa una media di 1 milione e mezzo di spettatori in seconda serata.

Cinque volte il pubblico che segue la Scala in un anno ...
Non lo so. resta il fatto che lui è il Re della situazione, indipendentemente dagli ospiti ...

Si guadagna bene in tv?
Preferisco non entrare in questi discorsi. Me l'hanno già domandato altri e poi si sono lamentati.

Su Mediaset a "Mattinocinque" c'è Nazzareno Carusi e in seconda serata c'è lei. Sarà perché il presidente Confalonieri è un grande appassionato di pianoforte?
Nel mio caso no. Pensi che alla prima puntata del "Chiambretti" a cui ho partecipato, era l'ottobre del 2010. Confalonieri era presente e nemmeno lo sapevo, l'ho incontrato poi. Ci tengo quindi a precisare che la politica con il mio arrivo a Mediaset non c'entra.

È stato un enfant prodige, a 11 anni suonava già come solista con i Solisti veneti. Che ricordi ha di quell'età? Capiva di essere un fenomeno oppure se ne rende conto solo adesso?
Non me ne rendevo conto. Solo adesso capisco che per l'età e per l'epoca ho avuto anche delle soddisfazioni. Però indietro non tornerei...

Perché?
Perché dopo una certa età tutti ti voltano le spalle, per cui è meglio partire "normali" e poi far vedere quanto vali in seguito.

Che cosa intende dire esattamente?
Se uno è considerato un enfant-prodige, quando ha 11 anni la gente comincia a dire che non sai più suonare.

E accaduto anche a lei?
Sì, per anni ...

Si soffre oppure in cuor suo sapeva che non era così?
Si soffre, eccome! Non sapevo a cosa andavo incontro con la carriera di musicista, soprattutto come strumentista italiano. Se un domani dovessi avere un figlio che manifesta le mie intenzioni alla stessa età, cercherei di non fargli studiare pianoforte. Piuttosto lo avvierei alla lirica. In ltalia c'è la tradizione dell'opera, non della tastiera.

Ha ricevuto consigli da Karajan, Magaloff, Berio. Che ricordi hai di loro?
Karajan l'ho visto 2 giorni: beh, meglio di niente! L'ho conosciuto nel 1988, avevo 11 anni, e lui è morto l'anno dopo. Eravamo a Salisburgo dove, grazie ad una horsa di studio, frequentavo i corsi del Mozarteum. L'anno seguente sono stato invitato a partecipare al concerto che il Mozarteum organizzava con i migliori allievi di tutti i corsi. In quell'occasione conobbi Luciano Berio, che teneva un corso a Salisburgo. L'ho incontrato durante l'intervallo. Era incuriosito dalla presenza di un musicista italiano, per di più genovese. Lui era di Oneglia, a 100 chilometri da Genova. Mi ha insegnato a cantare "dentro". Poi sono andato a trovarlo e ho conosciuto tutta la sua famiglia, moglie e figli. Magaloff, invece, l'ho incontrato nel 1990 al Premio "Una vita nella musica", poi abbiamo suonato insieme quello stesso anno nel Triplo di Mozart a "Settembre musica".

Lei ha studiato a Genova, chi è il professore che l'ha portato al diploma?
Preferisco non parlarne, ci sono stati dei disguidi...

Però almeno l'ha messa nelle condizioni di suonare bene ...
Non ne sono convinto. Ricordo che da bambino avevo una forte facilità, soprattutto musicale, che ho mantenuto anche in seguito, ma crescendo si assume una consapevolezza che rende tutto più difficile. Tra il 1994 e il 1999 non suonavo più bene: mi sentivo inibito, il suono era pressato, non sapevo niente della linea musicale, della metrica, della conduzione della frase. La mia docente di allora insisteva con delle cose tecniche, che alla fine non servono. Prima bisogna imparare la musica.

Però poi è andato a Imola ...
Per fortuna!

Che ricordi ha?
Intanto ricordo l'interdisciplinarità del rapporto: non hai un solo insegnante, ma puoi ricevere consigli da tanti maestri. Il che consente una larghezza di vedute che, di solito, i professori di conservatorio odiano. Franco Scala ha fondato l'Accademia pianistica di Imola proprio per dare ai giovani questa opportunità. Quando sono andato io era il momento d'oro dei concorsi! E a quell'epoca l'Accademia di Imola aveva il potere di far suonare gli allievi un po' in tutto il mondo. Per esempio mi mandarono per la prima volta a suonare a Berlino nel Konzenhaus con Alberto Nosè. Questo è fondamentale per un giovane che ha bisogno di fare esperienza.

Ha inciso una ventina di cd, ma il suo repertorio preferito è il tardo barocco tedesco di Bach e quello italiano di Galuppi, Cimarosa. Il romanticismo non le piace o non le interessa?
No, più che altro il mio modo di suonare non è adatto ad alcuni autori.

Parliamo del suo ultimo cd per la Sony con le Sonate di Benedetto Marcello uscito lo scorso settembre. Chi era Marcello, che importanza ha avuto per il clavicembalo e oggi per il pianoforte?
Non oso dire che Benedetto Marcello sia il Bach italiano, però dà lustro alla nostra storia musicologica perché ha scritto delle cose molto intcrcs.'ianti. Queste sono delle piccole suite e, dal mio punto di vista, meritano attenzione per la riscoperta del repertorio. E danno a me la possibilità di suonare il repertorio che prediligo. Con Mario Marcarini della Sony abbiamo lavorato sui manoscritti, siamo andati direttamente alla Biblioteca Marciana di Venezia. Questi documenti non erano più consultati da un musicologo dal 1962. L'ultimo è stato Bianconi. Insomma, in 40 anni nessuno ci aveva più messo mano. Erano state realizzate anche delle edizioni moderne, ma senza guardare i manoscritti. Con Sony abbiamo avviato un progetto "La tastiera italiana", sostenuta dalla Carige, la banca di Genova, dove sono già usciti i cd di Cherubini, Galuppi, Scarlatti e Marcello.

Oggi per i pianisti l'elemento mediatico è fondamentale. Sia per i musicisti classici come Bahrami, ma anche per il crossover di Allevi o il jazz di Bollani che ha appena finito di condurre su Raitre un programma tutto suo. La televisione ha bisogno del pianoforte o il pianoforte ha bisogno della televisione?
Secondo me, è lodevole il fatto che si dia più spazio in tv alla diffusione della musica classica che è sempre stata ignorata.

Non ha la sensazione che la televisione, anche commerciale, oggi abbia bisogno di darsi un tono dopo tanti anni di programmi spazzatura?
Potrebbe essere anche per quello. Gli altri Paesi danno un'attenzione alla musica classica anche da parte dei media televisivi che è maggiore. Ho suonato recentemente al Festival di Tolosa, in Francia. Da aprile questa rassegna è stata pubblicizzata su France Music, tanto per fare un esempio. E un altro modo di lavorare. Perché la musica gode di un'attenzione diversa, è considerata anche una fonte di guadagno. Mentre purtroppo quello che si verifica sempre più spesso in Italia è che la cultura sia ritenuta un peso e come tale bisogna farla pesare il meno possibile.

Eppure gli artisti stranieri, quando li intervistiamo, considerano il mercato italiano tra i più ricchi, quello che paga i cachet più alti ...
Questo dipende da chi organizza. Qui li pagano troppo. In Francia, ad esempio, danno molti meno soldi a tutti quanti: c'è un tetto massimo da rispettare. In Italia invece quando arriva "Dio" hisogna pagarlo tre volte ...

Per emergere nel nostro ambiente i concorsi sono ancora la via principale. Qual è la sua opinione sulle competizioni?
Negli ultimi tempi i concorsi si sono moltiplicati a dismisura: oggi sono troppi. Il mercato ormai è inflazionato. Alla fine degli anni Cinquanta c'erano due grandi concorsi: lo "Chopin" di Varsavia e il "Ciaikovski" di Mosca.

Oggi molti giovani musicisti sono attratti dai siti come Youtube che gli permettono di avere gratuitamente un'immensa visibilità: possono sostituirsi ai concorsi?
Non lo so ... Non ho mai ottenuto ingaggi da chi mi può aver visto su Youtube.

Il fenomeno nuovo nel pianismo mondiale sono gli artisti cinesi. Prima erano guardati dall'alto in basso dai professionisti europei. Oggi Lang Lang ha il cachet più alto del mondo e a soli 29 anni la Scala, il primo teatro italiano, gli dedica un ciclo di 4 concerti. Sono il futuro della musica o è solo una moda passeggera?
Da quello che si dice, Lang Lang arriva in Italia con dei sostegni economici non indifferenti. Come si fa a dire di no? Vista anche la crisi mondiale ...

È nato e vive a Genova. È vero che ha rilevato una tabaccheria a Recco?
Non ho rilevo nessuna tabaccheria. Spesso quando si parla con agenzie e organizzatori, la prima cosa che vogliono fare è impedirti di suonare. È da più di 20 anni che mi esibisco in Italia, ma non ho mai fatto un concerto che mi sia stato procurato da un manager. E sì che ne ho avuti tanti ... Così, quando mi chiedono cosa faccio, rispondo che ho una tabaccheria. Il pianoforte lo suono per i fatti miei ...

Ho capito, diciamo che è un vezzo ...
Purtroppo, per tanti motivi, ho dato concerti arrangiandomi da me.

È il problema di cui si lamentano tanti giovani musicisti: le agenzie fanno fatica a piazzarli sul mercato concertistico ...
Io ho vari agenti, ma alla fine il grosso del lavoro me lo trovo da solo. Il discorso di base è che in Italia c'è un'esterofilia del 90 per cento. Le società di concerti e i manager sostengono che i pianisti italiani siano scarsi. E quindi non siano degni di suonare da nessuna parte.

Però qualche impresario che le vuole bene c'è perché, ad esempio, dal 1998 a Milano suona regolarmente per le "Serate Musicali" guidate da Hans Fazzari ...
Il Maestro Fazzari non è un impresario, è uno che organizza concerti. Il sistema italiano prevede che nelle stagioni da 30 concerti quando va hene ci suonino 2 italiani, gli altri sono tutti stranieri. E' triste dirlo, ma a volte viene voglia di fare un altro mestiere. Non c'è il nazionalismo che esiste in Francia. Sono arrabbiato con questo sistema, lo sono da 20 anni e lo sarò sempre.

Ammesso e non concesso che sia così, perché vengono preferiti gli stranieri agli italiani?
Questa domanda andrebbe rivolta ad altri, non a me.

I direttori artistici dicono che gli stranieri siano più facili da gestire: alta affidabilità, grande repertorio, resistenza in tournée. Bisogna fare i conti anche con questo ...
Nel mio caso non è così, perché in 20 anni non ho mai fatto bidoni a nessuno. Quindi difficoltà di gestione non c'è.

Hai mai insegnato?
Ho tenuto occasionalmente alcuni seminari. È comunque un'attività che mi interessa meno.

Visto che è così critico verso l'Italia, ha mai pensato di lasciare il nostro Paese?
Ormai è troppo tardi.

Programmi futuri?
A dicembre vado a suonare con l'Orchestra di Tenerife. A gennaio devo fare una tournée con la Camerata Ducale, farò tappa alla Sapienza di Roma, a Vercelli e a Milano per le "Serate Musicali". A febbraio sarò al Palazzetto Bru-Zane di Venezia, a Lucca, a Pescara. E a marzo sarò in Spagna.


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