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n.277, gennaio 2011




il lucido Bach di Bacchetti
il pianista propone un'interpretazione nella scia di Schiff, Perahia e Pollini

Andrea Bacchetti plays Bach


Two-part Inventions & Sinfonias
and other keyboard works

pf Bacchetti,
Dynamic (2CD)


The Toccatas

pf Bacchetti,
Dynamic



Nato nel 1977, il pianista genovese Andrea Bacchetti suscitò ancora fanciullo l'interesse di Herbert von Karajan; munito di tanto viatico, nel corso degli ultimi quindici anni si è venuto imponendo come uno degli interpreti più maturi e versatili della sua generazione. Il vastissimo repertorio di Bacchetti spazia dal Barocco a Berio, passando per Mozart e i romantici tedeschi; ma è soprattutto su Johann Sebastian Bach che si è concentrata la sua attività discografica negli anni Duemila. Dopo le Suites inglesi (Decca), le Variazioni Goldberg (Arthaus) e il Quaderno di Anna Magdalena Bach (Classic Voice) ecco ora le sue ultime fatiche: due pubblicazioni Dynamic che raccolgono, la prima, le Invenzioni a due parti e le Sinfonie, la Suite francese n. 6, la Partita n. 2 più le serie di piccoli preludi, compresi quelli dal Clavierbüchlein per Wilhelm Friedemann Bach, BWV 924-943 (con l'aggiunta del Preludio BWV 999 per liuto) e le Kleine Fugen und Präludien mit Fughetten; la seconda, le sette Toccate BVW 910-916. Un'altra voce significativa si aggiunge così al coro dei pianisti che sempre più numerosi si riappropriano di Bach, rinnovando la tradizione dei Gieseking, dei Gould e dei Richter messa un po' in ombra negli anni dell'integralismo filologico. Che eseguito sullo strumento moderno Bach possa recare doni irrinunciabili, (ri)legittimando l'anacronismo, lo aveva già dimostrato a usura un'artista non sospetta come

Rosalyn Tureck; in un panorama fattosi oggi vario e ricco (basti pensare a András Schiff, Murray Perahia e infine a Maurizio Pollini), Bacchetti si inserisce con letture rigorose, lucide, consapevoli. Il tocco è morbido e luminoso, la polifonia delle Fugen e Fughetten sgranata con estrema chiarezza; ovunque si ha l'impressione di un esecutore che mira a "scomparire" di fronte all'opera, per consentire di parlare direttamente all'ascoltatore. Anche quando la sua voce si avverte più nitidamente, ad esempio nella celeberrima Invenzione n. 8 in fa maggiore, resa con una punta di amabile humour nel passo e nello staccato, Bacchetti rimane un interprete tanto partecipe quanto discreto, poco propenso all'ostentazione virtuosistica; del resto alla sua tecnica raffinatissima sembra estranea la gestualità spettacolare, come confermava già la Fantasie-Impromptu di Chopin in uno dei suoi primi dischi (ed. Videoradio). Di qui la meditativa pacatezza che caratterizza queste esecuzioni: avvertibile anche nei brani solitamente eseguiti con un piglio più estroverso, come nella Sinfonia che apre la Partita n. 2, che si snoda sostenuta e interiorizzata là dove Glenn Gould procede con moto danzante, nell'intento di recuperare alla sonorità dello strumento la timbrica e l'articolazione del clavicembalo, e Schiff adotta uno stile da oratore versato nell'Affektenlehre. Anche nelle Toccate, che non godono di una discografia paragonabile a quella delle Invenzioni e delle Sinfonie, Bacchetti sceglie una dizione oggettiva e limpida, molto controllata, che punta soprattutto sulla continuità e l'omogeneità del flusso; evita, a differenza di Gould (Toccata BWV 914 in mi minore), la differenziazione eccessiva nello stacco dei vari movimenti, anche se appare un po' discutibile la sua decisione di dipanare la Fuga conclusiva della stessa BWV 914 con una lentezza quasi inconcepibile per un Allegro, che spiacerà forse a qualche ascoltatore, specie a chi abbia in mente l'esecuzione storica di Clara Haskil o la versione cembalistica di riferimento di Gustav Leonhardt. Eppure anche una scelta così controcorrente si lascia alla fine apprezzare per coerenza e nobiltà: in breve, il nostro pianista riesce a non deludere mai le aspettative, e alla fine del viaggio ci lascia soddisfatti e arricchiti dal nuovo confronto con questi capolavori della letteratura tastieristica. E non è davvero merito di poco conto. Maurizio Ciani